Cosa succederebbe se il 5G, il nuovo grande abilitatore trasversale di tutta una serie di tecnologie innovative - pensate alle auto senza guidatori o alla chirurgia di precisione eseguita a distanza -, operasse a frequenze radio molto simili a quelle in cui importanti fenomeni fisici accadono? Lo sperimenteremo presto: a fine novembre, una commissione internazionale ha deciso di adottare come standard globale per i prossimi otto anni la frequenza radio (arbitraria) di 23.8 gigahertz per le comunicazioni via 5G. Il problema è che la vicina frequenza di 24 gigahertz è quella in cui le molecole di vapore acqueo cominciano a vibrare nell'atmosfera. Questa vibrazione è un dato importante per determinare in maniera precisa i livelli di umidità e poter dunque fare previsioni meteorologiche e climatiche adeguate. Come avvertono allarmati molti meteorologi, il 5G a 23.8 gigahertz interferirà con la qualità del segnale che arriva ai satelliti meteo, i quali non riusciranno spesso a discriminare tra dati derivanti dal vapore acqueo e dati derivanti dal 5G. Sembra una questione meramente tecnica, ma in sostanza vedremo una regressione alle capacità predittive meteo degli anni 80. Ciò non vuol dire solamente che avremo più incertezze nell'organizzare scampagnate spensierate senza pioggia; si parla qui, ad esempio, di una riduzione significativa della capacità di prevedere uragani, che in alcune zone del mondo significa la differenza tra vita e morte. Per approfondire, articolo su Nature.
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Lavorare passeggiando coi robot a passo di robot: la media degli incidenti di lavoro nei magazzini “robotici” (leggi: Amazon) è più del doppio che nei magazzini “tradizionali”.
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Buon 2020 da NRS!
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