Ansiogeni
Torna Francesco Pota, insegnante lombardo, per raccontarci un po’ di incubi legati a un’app che conosciamo tuttә molto bene. Lei, e i suoi dannati gruppi.
Lavoro da circa dieci anni nel mondo della scuola, e non uso Whatsapp. Posso immaginare che le due cose non si sembrino legate ma essendo un insegnante precario cambio scuola tutti gli anni: all’inizio di ogni anno devo affrontare l’incredulità dei colleghe e delle colleghe perché non uso quella app. Molto del nostro lavoro, che è estremamente individuale ma ha direttive comuni, passa sul gruppo della scuola. Nessuno può dirmi e mi ha mai detto niente fino in fondo se non farmi sentire quello un po’ diverso e rompiscatole ma non è mai stato davvero un problema sul lavoro. Ho deciso di abbandonare Whatsapp qualche anno fa, prima della pandemia, per questioni legate alla privacy e perché non mi piace il sistema sociale che crea. Molte relazioni, mi pare, si reggono sul fatto che “tanto ci sentiamo sul gruppo”, che è un po’ come vedersi sempre a tavola in gruppo e non parlare mai di niente, senza andare mai nel profondo.
Ma questi sono problemi miei e me li sono visti e rivisti con la mia psicanalista. Nel lavoro la questione è diversa e quando ho deciso di non utilizzarlo più penso che la mia vita lavorativa sia sensibilmente migliorata. Prima di andare avanti, alcune considerazioni ovvie: non posso essere raggiunto oltre una certa ora da notifiche su notifiche e questo mi permette di staccare davvero dal lavoro. Per quanto la conosca anche io, la battute che dice che noi insegnanti abbiamo 11 mesi l’anno di ferie, spesso ci portiamo a casa il lavoro didattico e sui problemi degli e delle studenti ci si rimugina sopra: staccare è quindi molto salutare; non possono appiopparmi cose e non possono decidere niente che mi coinvolge al 100% se non ho avuto modo di valutare la situazione con calma.
La questione principale discende proprio da questa: a scuola vige un’ansia incredibile e WhatsApp finisce per dilatarla e amplificarla. Così quando si deve affrontare una discussione raramente si ha il tempo di farlo tutti insieme dal vivo. Come tanti altri aspetti della nostra vita, questa questione nella scuola non è stata creata dal COVID ma negli ultimi tre anni è stata amplificata. A esclusione della scuola primaria, dove gli appuntamenti collettivi sono quasi uno la settimana – anche se legati ad aspetti specifici e didattici di alcune classi – in generale i momenti di discussione pubblica sono ridotti a quattro o cinque l’anno e spesso con un ordine del giorno così fitto o con alcuni punti così importanti che si finisce per rimanere tre o quattro ore a parlare. Anzi spesso sono i presidi a parlare, gli interventi sono pochi e, in aggiunta, alcuni di questi incontri sono ancora on line.
Per tutti questi motivi, che meriterebbero un approfondimento, molte discussioni e soprattutto quelle più urgenti si spostano su Whatsapp. Ed è in questo momento che questo sistema diventa amplificatore d’ansia.
Anche perché tanti e tante
su WhatsApp
scrivono così.
Mandando cento messaggi separati per esprimere concetti legati tra loro.
Lo so che lo sapete, e che facciamo così quasi tutti e tutte ma questo sistema è indice di agitazione, ansia o rabbia, genera agitazione in chi riceve i messaggi. Sentendo attivarsi la chat della scuola, cioè quella del lavoro quindi quella dove spesso ci sono le menate, e sentendo arrivare così tanti messaggi ciò che si percepisce è che ogni questione è una questione urgente e ansiogena. Potreste dirmi che basta silenziare la chat ed è verissimo ma questo finisce per tagliarci fuori dalla discussione, in prima istanza, e senza nemmeno avere la scusa di non avere lo strumento come nel mio caso, e poi quando finalmente si trova del tempo per guardarla si finisce per avere centinaia di messaggi non letti di cui la grande maggioranza scritti da poche persone, non capire niente di ciò di cui si sta parlando e quindi autoescludersi dalla discussione, che però in alcuni casi poi diventa vincolante (ne abbiamo parlato ieri su WhatsApp!!!!). Quindi la situazione spesso si aggrava da questo punto di vista perché chi rimane a scrivere sono quelli più determinati, per ansia, rabbia o altro. Oppure quelli che in quel momento specifico hanno più tempo, perché non sono in servizio o in classe o perché non hanno impegni in quel momento. Ora immaginate questo verso le dieci di sera: chi ha le notifiche attive si trova invaso di messaggi, chi non le ha si trova 150 messaggi la mattina dopo al risveglio. In ogni caso quando questo avviene, perché per fortuna non è così ogni giorno dell’anno scolastico ovviamente, si finisce per essere travolti da un turbine di messaggi che talvolta finiscono per portare a rabbia reciproca e incomprensioni. In questo i sistemi di messaggistica non sono generatori di queste situazioni ma finiscono per amplificarle a dismisura.
Oppure, come sapete, arrivano blocchi di testo lunghissimi su cui il o la mittente ha perso il controllo e anche qui il problema è il mezzo. Scrivere un messaggio molto lungo in uno spazio compresso come quello che si trova sui sistemi di messaggistica istantanea non premette una revisione e facile e nemmeno di vedere il proprio testo. Cerco di spiegarmi: ora mentre scrivo ho sotto occhio la maggior parte del testo che sto scrivendo. Questo mi permetterà di muovermi meglio al momento della revisione e di non cadere in ripetizioni o errori di varia natura. Da smartphone questa cosa non è fattibile, la casella di testo dove si scrive è piccola, le tastiere hanno tasti piccoli e l’autocorrettore spesso non aiuta. In più anche per chi legge i blocchi di testo lunghi, o estremamente lunghi, finiscono per essere illeggibili e faticosi.
Insomma i sistemi di messaggistica istantanea non sono adatti come sistema di comunicazione di lavoro perché alla fine se si avviano discussioni finisce per: esserci un vincitore o una vincitrice, quindi non una decisione collettiva; pochi e poche partecipanti; ingenerarsi un clima ansiogeno che porta a conflitti continui.
Avrete notato che da qualche riga non ho più fatto riferimento a un solo sistema ma in generale ai sistemi di messaggistica istantanea perché se sistemi come Signal (e in alcune istanze Telegram) sono più sicuri dal punto di vista della privacy, non credo che cambierebbero la situazione da questo punto di vista. Però credo che ci sia una soluzione che è: la mail. Raramente si scrive più di una mail per ogni contenuto; si ha più spazio per scrivere; non so perché, ma viviamo una sorta di timore reverenziale quindi ci si pensa due volte prima di scrivere; si ricevono con la facilità di un messaggio ma se ne riceve una notifica per ogni mittente, oppure se ne ricevono tante ma potenzialmente in casi davvero urgenti e problematici; è meno fastidioso scorrere alla mail successiva quando quella che si sta leggendo è troppo lunga o ripetitiva. Insomma mi sembra che, fermo restando l’invadenza di avere sempre con sé uno strumento di lavoro, la mail limiti i problemi che invece la messaggistica istantanea amplifica.
Ovviamente la cosa migliore è: parlarsi. Come disse una twitstar qualche anno fa “Se stava mejo quando ce se pigliava a pizze in faccia per davvero”.