Un posto sicuro
Qualche numero fa parlavamo del contrasto fra i principi di decentralizzazione (e di privacy) con cui era nata idealmente Internet e il fatto che i principali servizi e le piattaforme fossero comunque appoggiati su infrastrutture di aziende come Google o Amazon che sono difficilmente sostituibili da altre realtà.
Idealmente, potremmo riprendere questo discorso per via di ciò che è successo a Parler, il social network collegato all’estrema destra e a tutte le varie realtà filo-sovraniste degli Stati Uniti. Parler non era semplicemente un social alternativo che si è trovato suo malgrado a essere un ricettacolo di tutto il pensiero sovversivo, razzista e suprematista, ma era una piattaforma nata proprio su quel terreno e - chiaramente, anche se mai è stato ammesso - con quello scopo.
Dopo i fatti del 6 gennaio scorso a Capitol Hill e la conseguente diffusione per l’app in seguito alle operazioni di censura di altre piattaforme, Parler è stata bannata dagli store e dalle infrastrutture cloud su cui si appoggiava.
Sebbene azioni di questo genere siano lecite, soprattutto nel caso di contenuti intolleranti e pericolosi, restano una dimostrazione di come la dipendenza dalle grandi realtà sia ancora la chiave della presenza online. Aggiungiamoci anche che piattaforme alternative o indipendenti, sebbene relativamente piccole, sono comunque diventate circoli in cui i temi erano sempre non proprio limpidi: QAnon è nato su 4chan.
Però se Parler era strettamente legato a certi temi, non è che su altri lidi anche più controllati e moderati come i classici Twitter o Facebook le cose splendano. C’è la propaganda, ci sono i contenuti pieni di odio, sono stati la base di grandi campagne di disinformazione, però sono e restano lì. Una questione di massa critica che comunque è ancora dal lato buono? Può darsi, ma viene da chiedersi, quasi per gioco, se e come sia possibile creare una eventuale piattaforma libera da vincoli tecnologici e senza presenze negative, magari con una moderazione che arrivi al minimo e senza che il prossimo movimento anti-istituzionale o violento vi prenda piede. L’appoggio “fisico” della piattaforma, paradossalmente, diventa quasi indifferente. E non è nemmeno più (almeno per ora) una questione di privacy, crittografia o decentralizzazione, che a questo punto avrebbero quasi il sapore di deresponsabilizzazione del creatore della piattaforma.
Ma allora dove è l’inghippo? Creare un altro social network, davvero libero da vincoli, è davvero un lancio di una moneta, per giunta sbilanciato verso il lato cattivo?
La chiave di tutto quello che è legato ai contenuti non sembra essere né la “selezione all’ingresso” né l’efficacia della moderazione, ma la superficie di impatto iniziale. I 140 caratteri di Twitter e la sola interazione testuale, la cerchia ristretta di accesso a Facebook. Non è tanto un ostacolo di conoscenze o tecnologico come poteva forse essere venticinque anni fa, ma una specie di prova di ingresso, ovvero creare l’idea di fondo che ci sia qualcosa da imparare a utilizzare, che ha regole alle quali non si sfugge se si vuole governare il mezzo e fare parte di qualcosa.
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