Le certezze di un bambino che andava a scuola elementare negli anni ‘80 erano l’orario di inizio dei cartoni animati e le proprietà delle operazioni matematiche. Non tanto e non solo per la loro universale immutabilità, ma per il fatto che qualunque maestra, senza distinzione di classe o provveditorato di appartenenza, le avrebbe spiegate nella stessa maniera con le stesse parole (Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Addizionando o sottraendo sia al minuendo che al sottraendo lo stesso numero, il risultato non cambia etc.).
Era come leggere un messale, con la differenza che in questo c’erano verità assolute nella loro laconicità. E anche scambiando qualche parola con altri della tua età ti accorgevi che le parole che venivano usate anche in altre scuole erano le stesse. Arrivavi a pensare che le maestre e i maestri si fossero formati su un testo obbligatorio ai limiti del sacro in cui le parole non cambiavano da millenni. Funzionava? Io me le ricordo, altri forse sì o forse no. Le capivano tutti? Non ne farei un metodo perfetto, direi che potevamo stare nella statistica media di comprensione della matematica. Avevano spiegato le proprietà delle operazioni? Ci potete giurare.
Sia chiaro: non è una critica al sistema attuale di insegnamento (che non conosco e sul quale pertanto non potrei aprire bocca) o un rimpianto nostalgico.
È una fotografia.
Quando da ventenne ero con amici appassionati di musica e soprattutto di chitarra, parlavamo spesso dei mostri sacri da Van Halen a Steve Vai a altri. La tecnica, la strumentazione e quanto incredibili fossero le cose che facevano con gli strumenti. Un giorno, uno dei “vecchi” del gruppo, disse una frase che per qualche secondo ci causò un picco di realismo: Non ci dimentichiamo che nonostante il talento, questa è gente che non fa altro nella vita.La vita di musica era sì il loro sacrificio ma era anche quello che alimentava le loro stesse esistenze. Una cosa che per chi “doveva” studiare Algebra o Diritto Commerciale o dipingere pareti o portare pizze e crocché non era tanto concepibile a meno di vincere la Lotteria con la l maiuscola, quella su cui fantastichiamo ogni mattina quando aspettiamo l’autobus o timbriamo il cartellino.Se guardiamo a qualunque cosa di professionale o di artistico ci sia oggi, si ha l’impressione che manchi molto la specializzazione e che tutto, in qualche modo, deve avere una specie di percorso parallelo. Se sei un calzolaio, devi fare i reel su Instagram. Se sei un impiegato puoi diventare qualsiasi altra cosa con un sufficiente numero di video online e per ognuno che fa video online ci sono decine di contenuti e paradigmi diversi - guarda caso tutti validi - che ti dicono cose diverse.Ci si lamenta spesso e a ragione di come il lavoro tenda sempre di più a erodere la vita privata, ma poi il lavoro non è più solo il lavoro, è un insieme di tante cose e attività correlate con dimensioni e spazi diversissimi. Togliere il non essenziale è necessario ma sempre più difficile; una vera operazione di microchirurgia del superfluo.
L’esplosione delle risorse che si ha oggi rispetto a quarant’anni fa ha forse fatto perdere di vista la specializzazione nelle cose? Il poter sapere tutto ha forse creato l’illusione di poter fare tutto o in alcuni casi di dover fare tutto? Sembra che se prima mancavano opportunità, adesso quelle opportunità non facciano altro che diluire l’essenza di quello che si può essere.
Perché la somma degli addendi è sempre quella, alla fine.
I link di questa settimana:
Il Moog ha compiuto settant’anni. Il sito della Moog Factory è uno spasso.
La giornata non è proprio di ventiquattro ore. Senza immaginare di stare a Calcutta.
Sta per partire Euclid.
Se dovete organizzare una retrospettiva cinematografica, perché non farne una a tema Intelligenza Artificiale?
Fatevi un giro al Museo del Web Design.